Storia dell’errore ortografico che arringò la folla

Ovvero: breve saggio sulla cultura dell’errore nella nostra azienda

In questo breve articolo vogliamo argomentare questa tesi: creare una cultura dell’errore all’interno di un gruppo di lavoro può accelerare sia la crescita del team, che quella dell’azienda.

Lo faremo partendo da un pretesto narrativo particolare, ovvero un errore ortografico commesso da Marco, un membro del team di The Doers.

Ecco, in breve, i fatti. Marco si occupa della comunicazione di The Doers e quindi è lui, una mattina di gennaio, a spedire la newsletter mensile a tutti gli iscritti.

Come sempre rilegge il testo più volte, per controllare che non ci siano refusi. Eppure, l'imponderabile accade. Commette un errore ortografico da matita rossa: scrive “A noi ha fatto sorridere” senza la lettera h. In pratica scrive: “A noi a fatto sorridere”.

Dopo meno di tre minuti riceve un messaggio, via WhatsApp. “Nella newsletter manca la h!”. È la prima di una lunga serie di segnalazioni. Marco sente il sangue gelare. È figlio di una maestra elementare, a 14 anni leggeva saggi di Erich Fromm, e scrive per mestiere. È il responsabile della comunicazione di uno studio di consulenza manageriale. La sua identità è legata strettamente alla scrittura. E adesso migliaia di persone, tra i quali tutti i clienti dello studio, hanno letto una newsletter che contiene un suo errore, ma che è firmata a nome di tutto il team di The Doers.

Un errore ortografico, si sa, è una cosa seria. Se volessimo provare uno di quei giochi di fantasia che tanto bene riescono ai bambini, e cercassimo di dargli una forma umana, sarebbe presto fatto. Non potremmo che immaginarlo come un personaggio impacciato, schiacciato dal senso di colpa, additato da tutti come un paria. Come un escluso che teme la luce dei riflettori su di sé.

Come mai invece, questo errore ortografico, commesso da un Doer, non ha paura di mostrarsi, in tutta la sua evidenza, e anzi, ha l’ardire di prendere in mano un microfono ed arringare la folla?

Fuor di metafora: come mai Marco, dopo una manciata di ore, al posto che affogare la delusione in qualche distillato da discount, sta scrivendo questo articolo?

Il motivo principale è: perché la cultura aziendale di The Doers lo ha prima aiutato a non dubitare di sé stesso e poi gli ha reso chiaro come affrontare il problema.

Ecco, ad esempio, il modo in cui il tema è stato trattato nella chat aziendale.

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Invitando Marco a cambiare punto di vista, e a considerare quanto accaduto come un’opportunità, il team ha voluto ribadire una cosa.

Certo, è importante parlare e scrivere in un italiano corretto, e cercare di non fare errori ortografici, ma è ancora più importante sviluppare la capacità di apprendimento e di reazione positiva agli eventi.

The Doers abbraccia la cultura dell’errore, ovvero quella che Doug Lemov descrive come “un ambiente in cui le persone si sentono libere di fare degli errori, e di capire insieme al gruppo come affrontarli”.

Crediamo che convenga dedicare meno tempo alla ricerca degli errori e più tempo a capire come risolverli.

Crediamo che ogni membro del nostro team sia da lodare, per l’enorme quantità di rischio che è disposto a prendersi ogni giorno. Il rischio di lavorare autonomamente ad una ricerca di mercato. Il rischio di guidare dei manager di azienda in un processo di innovazione. Il rischio di presentare le proprie idee originali. Il rischio di scrivere una newsletter a migliaia di persone.

Siamo sinceramente grati ai nostri colleghi per il loro coraggio.

Parafrasando Francesco De Gregori : 

Doer non aver paura
di tirare un calcio di rigore
non è mica da questi particolari
che si giudica un giocatore

Un giocatore lo vedi dal coraggio
dall’altruismo e dalla fantasia
 

Crediamo realmente che si impari dagli errori. Ce lo suggerisce l'esperienza. Ad esempio un bambino che si brucia toccando il forno quando è acceso, probabilmente non commetterà più questo errore. Ma la Scienza che cosa ne dice?

La risposta è complessa, e la nostra ricerca sul tema non è certo esaustiva. Due cose però le possiamo sottolineare, visto che emergono dagli studi di Bless & Fiedler e di Puig & Szpunar

La prima è che come esseri umani reagiamo più fortemente agli stimoli negativi che a quelli positivi. Questo perché gli stimoli negativi ci consentono di elaborare meglio le informazioni, il che significa che le informazioni vengono memorizzate più rapidamente, rimangono archiviate più a lungo e sono accessibili più facilmente.

Il secondo punto degno di nota, almeno secondo Mogelof & Edmondson, è che il segreto dei team di eccezionale successo sembra essere la sicurezza psicologica. Più i singoli membri si sentono sicuri di poter agire senza temere le conseguenze dell’errore, più le performance migliorano.

Unendo questi due concetti, emerge un punto di vista nuovo, che noi come gruppo di lavoro, stiamo imparando ad adottare sempre più di frequente.

È infatti importante sbagliare - perché è il momento in cui si impara e si migliora di più - ed è allo stesso modo importante cercare di procedere verso la verità in un ambiente di sicurezza psicologica.

Davanti a questa combinazione di eventi, il processo di apprendimento subisce una accelerazione.

Evviva quindi gli errori. Evviva la cultura dell’errore. Evviva la “a” senza “h”.